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Suicide Squad: Kill the Justice League – Recensione

Questa recensione deve partire con una considerazione necessaria riguardo Suicide Squad: Kill the Justice League.

Nelle settimane che hanno preceduto l’uscita e subito dopo la Closed Alpha, il gioco è stato bombardato di recensioni negative perché giudicato troppo vecchio, troppo banale, narrativa sciatta e scelta dei personaggi errata.

Ora vi pongo queste domande: avendo giocato alla trilogia di Arkham non avete mai notato un particolare? Non vi è mai capitato di giocare ad uno di questi giochi ed avere la sensazione di non avere mail lasciato quella città? Iniziando uno scontro non avete sentito quella sorta di “memoria muscolare” che rilascia una sensazione di piacere e di conforto? Non siete mai stati colti da quel percorso narrativo che ogni volta ti immergeva sempre più nella storia mantenendo al contempo stesso la familiarità con quella precedente? Sempre se avete seguito la storia dei titoli Rocksteady, non avete percepito la scelta dei protagonisti come un “passaggio del testimone” tra una storia e l’altra?

Se la risposta a tutte le domande è si, allora non si può obiettare su quando Suicide Squad sia un titolo geniale, dove si passa il famoso testimone da un gioco ad un altro, dove le dinamiche di gioco e la storia ti fanno sentire “a casa”, pur ovviamente innovando in alcuni aspetti peculiari per il gioco in questione.

Con queste premesse che vi invito a fare, possiamo passare alla recensione di Suicide Squad: Kill the Justice League.

Storia

Collocato narrativamente qualche anno dopo gli eventi di Batman: Arkham Knight, ci troviamo in una Metropolis quasi irriconoscibile, dato il livello di distruzione perpetrato da Braniac nel suo intento di ricostruire il pianeta natale, Colu.

Ovviamente per raggiungere lo scopo, il geniale Villan decide si servirsi dei metaumani per fare il lavoro sporco, da qui la scelta di Metropolis in quanto “casa” per la più alta concentrazione di meta, la Justice League.

Ed è così che buona parte dei membri viene soggiogata ed utilizzata per neutralizzare qualsiasi forma di difesa ad accelerare il processo di trasformazione della popolazione in un esercito.

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Qui entra in campo la A.R.G.U.S, che attiva un protocollo come ultima speranza per l’umanità: la Task Force X.
Reclutati direttamente dal famosissimo Manicomio di Arkham, 4 variopinti soggetti: Deadshot, King Shark, Boomerang e Harley Queen, vengono assoldati per portare a termine una missione “suicida” che consiste nell’eliminazione degli ex membri della Justice League.

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Dopo essere stati trasferiti ed equipaggiati, vengono inviati nella città con un panorama decisamente inquietante: una enorme nave a forma di teschio sulla città dalla quale si propagano numerosi tentacoli e Metropolis praticamente rasa al suolo ed invasa dai soldati di Braniac.

Personaggi e narrazione

I 4 membri della rinominata Suicide Squad sono quanto di più antitetico ci possa essere quando l’obiettivo della missione è di salvare il mondo; totalmente in contrasto fra di loro e senza il benché minimo senso della morale, cercheranno fin dall’inizio a mettersi uno contro l’altro, arrivando persino ad installarsi delle bombe nel cranio a vicenda e dando così alla Waller, la direttrice dell’ A.R.G.U.S, il pieno controllo sulla loro vita.

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Qui registriamo il primo grande impegno dei ragazzi di Rocksteady: i 4 “eroi” sono finemente realizzati nella caratterizzazione del minimo particolare sia esteriore ma soprattutto interiore; ognuno ha il suo sfaccettato morale e visione della vita e lo manifestano in continuazione nel gioco con battute, sberleffi, pensieri, prese di posizione e contrasti tali da farli sembrare quasi reali.

Se prendiamo questi elementi e li inseriamo in una narrazione ben curata, che ci regala momenti di estasi a scene irriverenti o volutamente demenziali dovute alle bizzarrie dei protagonisti, abbiamo il mix perfetto per tenere incollati al pad i giocatori per tutta la durata del gioco.

Purtroppo per noi incappiamo in un doppiaggio che non brilla, dove troviamo la voce italiana di Batman che non ha niente a che spartire con quella magnifica di Marco Balzarotti, della quale abbiamo imparato ad innamorarcene durante i capitoli della serie Arkham, mentre gli altri doppiaggi raggiungono a malapena la sufficienza.

Audio

Il sistema audio 3D se la cava egregiamente, con la riproduzione dei suoni e delle voci che riproduce le distorsioni dovute alla distanza ed alla posizione del nemico/PNG rispetto al nostro personaggio.
Anche la colonna sonora si rivela azzeccata riflettendo musicalmente il carattere dei personaggi e le azioni frenetiche che ci troveremo ad affrontare durante la nostra traversata di Metropolis.

Gameplay

La scelta di optare per un team di personaggi si rivela decisamente vincente, con i quattro personaggi dotati di diversi set di armi e abilità uniche, che ci permettono di variare l’esperienza di gioco in qualsiasi momento della storia, grazie alla possibilità di passare da un personaggio all’altro, mantenendo sempre vivo il rapporto con i combattimenti che, altrimenti, risulterebbe un po’ azzoppato da quel senso di assuefazione e ripetitività che dopo qualche tempo ci pervade: Rocksteady prova a mescolare le carte aggiungendo varie tipologie di nemici ma, come per gli altri titoli della serie Arkham, non riescono a decollare dal punto di vista della longevità degli scontri.

In ulteriore aiuto arriva il sistema delle abilità, che tramite uno dei tanti personaggio di supporto alla squadra di nome Hack, ci permette di sbloccare perk unici per ogni personaggio, concedendo bonus, agevolazioni in battaglia e mosse speciali uniche.
Anche dal punto di vista dell’equipaggiamento registriamo una varietà di bocche da fuoco o armi melee che si divido per categoria (da base a leggendario) con la possibilità di personalizzarle esteticamente e di potenziarle recandosi da un altro personaggio iconico come il Pinguino che, in cambio di soldi e materiali, eseguirà degli upgrade alle statistiche delle armi.

Spostamento

Tra le unicità dei personaggi in Suicide Squad ci sono anche quelle legate allo spostamento in lungo e in largo per la città dove ognuno ha infatti un gadget o una caratteristica distintiva: Deadshot un Jetpack, Boomerang un guanto che concede la Forza della Velocità (l’abilità meta di Flash), Harley Queen un batdrone al quale si può agganciare tramite l’uso del bat-rampino (tutti gli oggetti vengono “presi in prestito” dal museo sulla Justice League), mentre King Shark possiede la capacità di eseguire impressionanti salti in lungo ed in alto per coprire una ragguardevole distanza.

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La fase dei combattimenti, a parte il problema della ripetitività, è ulteriormente sostenuta da ritmi frenetici e caotici, che costringono il giocatore a concentrarsi sulle azioni da eseguire, rese un po’ difficoltose dalle varie (anche troppe) combinazioni di tasti che bisogna premere per poter gestire il moveset del personaggio con il quale si sta giocando.

In Suicide Squad ogni scontro si può trasformare in qualcosa di remunerativo, grazie agli incarichi che i vari personaggi di supporto ci proporranno per guadagnare esperienza, oggetti, materiali, soldi.

La progressione dei personaggi è lenta e potrebbe risultare frustante, se non fosse per l’annuncio da parte dello sviluppatore di un sistema di stagioni che introdurrà nel tempo nuovi contenuti e nuovi personaggi giocabili, con il Joker a fare da apripista e di un endgame che promette diverse ore di gioco, giustificando dunque il tempo dilatato nel percorso di crescita.

Grafica

Sul comparto grafico bisogna tenere in considerazione alcuni fattori: ad una analisi approfondita non brilla per innovazione, con un gestione delle luci che sembra minimale e una debole impronta che ci trasmette una sensazione di grafica vecchia scuola, con Metropolis che alle volte sembra un fondale piuttosto che una città da vivere negli spostamenti e negli scontri, così come i modelli dei personaggi che, anche se curati nei dettagli stilistici, non spiccano per definizione grafica, anche se comunque non presenta sbavature ed ha un buon framerate.

Riflessioni sulla grafica

Ma a questo punto dobbiamo attingere alla storia dello studio e all’impronta visiva che ha sempre proposto nei suoi titoli.

Quando ho iniziato a giocare a Suicide Squad, il mio cervello è corso a pescare dei ricordi dei capitoli della trilogia di Arkham, facendomi quasi sentire a “casa”.

Si perchè è questo distingue Rockeady nella proposizione, al netto di qualche dettaglio, della grafica.

In un periodo dove si corre per raggiungere livelli cinematografici di grafica, loro fanno di uno stile, che a molti potrebbe sembrare mimimale, il loro marchio di fabbrica.

I tre titoli della trilogia di Batman presentavano lo stesso stile grafico, anche se dovendo gestire una Gotham sempre immersa nelle tenebre la resa poteva sembrare migliore perché l’oscurità nascondeva alcuni degli effetti visivi che in una Metropolis di giorno risaltano decisamente di più.

Per questo, pur essendo un po’ perplesso da una grafica che per i tempi attuali sembra banale, devo fare i complimenti ai ragazzi di Rocksteady perché sono riusciti a create un “family feeling” basato sulla grafica che ti fa passare un po’ in secondo piano la risoluzione in favore di un viaggio nelle emozioni che si è vissuto con gli altri giochi da loro sviluppati e che, nel caso di Suicide Squad, non ci distrae troppo, facendoci godere della pazzia dei quattro “eroi per disperazione”.

Integrazione

Anche Suicide Squad ci ricorda che abbiamo tra le mani un Dualsense, con una integrazione del feedback aptico e soprattutto dei grilletti adattativi, che declinano magnificamente la resistenza di ciascuna arma utilizzabile nel gioco, restituendoci la differenza che esiste nel maneggiare un minigun piuttosto che una pistola, un’arma da taglio o una mazza da baseball.

Anche il feedback aptico fa il suo lavoro, reagendo quando si esplodono i colpi della propria arma, quando si urtano oggetti, saltando e rotolando o quando si combatte corpo a corpo, garantendo un buon livello di immersività.

Conclusioni

Suicide Squad: Kill the Justice League è un titolo che spezza i canoni classici dei videogiochi sui supereroi, restituendoci una prospettiva irriverente, scherzosa e poco seriosa rispetto alla consuetudine, portando una ventata di novità e freschezza che ci serviva proprio nel settore.

E’ un gioco che diverte e appassiona, perché fa tenerezza vedere come una banda sgangherata si lancia nella folle impresa di eliminare alcuni tra i supereroi più forti del mondo DC.

Certo, non è esente dai difetti e forse manca il fatto di non aver osato di più, oltre al fatto che per il momento il sistema live service risulta anonimo, ma sono sicuro che con il passare del tempo e con la stagioni vedremo sicuramente di cosa è capace, ma sia grazie ad una solida narrativa, i ritmi frenetici, le identità dettagliate dei quattro protagonisti e le molteplici attività da svolgere, trova il suo posto tra i titoli che bisogna avere nella propria collezione perché con il tempo credo si possa migliorare ancora e diventare una gemma ancora più preziosa di quello che è adesso.

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